Come ogni mattina, mi sveglio, faccio una doccia veloce e via! Ascensore, scale, salgo in auto, metto in moto e inizia la giornata. Altre scale, altri ascensori, finalmente di fronte a un pc, accendo e parte la giornata lavorativa.
Cosa c’è di strano o di diverso rispetto a quello che fa chiunque altro? Niente.
Tuttavia ogni tanto fa bene soffermarsi a riflettere su quante azioni “normali” e al limite della routine, si fondano su determinate certezze, che diamo per scontate.
E’ ovvio che ogni mattina io mi svegli (!)
E’ naturale che l’acqua esca dal rubinetto mentre mi lavo, che la corrente elettrica e il gas scaldino la mia colazione; che il palazzo in cui abito rimanga in piedi; che i cavi dell’ascensore reggano il peso; che i meccanismi del veicolo che mi porta in giro funzionino; che il computer si accenda…
Quante cose diamo per scontate! E quanti atti di fede implicitamente professiamo in cose e situazioni che nessuno normalmente mette in discussione.
Generalmente, infatti, non evitiamo di fare la doccia perché non crediamo alle fake news di un fantomatico acquedotto che è stato progettato per portare l’acqua nelle case…
Saremmo ridicoli.
Il processo che ci porta a ritenere credibile o meno un dato evento, una certa realtà, implica una nostra scelta ed una nostra predisposizione. Quello che riteniamo ragionevole, lo accogliamo. Viceversa lo rigettiamo.
Rimane il fatto che una nostra scelta di non ritenere credibile un rubinetto, non fa scomparire il rubinetto (né la doccia, per fortuna!)
L’impostazione materialista di certo pensiero occidentale, tende a far coincidere la ragionevolezza con quanto concretamente è misurabile ed esperibile. Quello che tocchi, esiste. Quello che esiste, è vero.
E’ sufficiente però ascoltare le conversazioni su un mezzo pubblico o in una sala di attesa o ancora meglio leggere gli scambi sui sociall network, per rendersi conto che anche questa impostazione è in crisi.
All’evidenza cosiddetta scientifica di un dato, si oppone la destrutturazione dell’esistenza di assoluti scientifici, con finalità più o meno dichiarate e più o meno comprensibili.
Lungi dall’entrare nel merito di temi specifici, spesso la sensazione è che si sostituisca un assoluto con un assoluto camuffato da verità alternative, che cela poco e male un egocentrico “secondo me”.
Un “secondo me” che viene comunque tirato fuori da chi ogni mattina si alza, fa la doccia, ecc. ecc.
Questi doppi (e tripli e quadrupli e…n-upli) livelli di gestione della propria fiducia in qualcosa o in qualcuno, sono un fenomeno affascinante.
La “sospensione del giudizio”, ottenuta attraverso una pratica costante di una disciplina, aiuta a fare chiarezza in merito alla nostra posizione rispetto alle evidenze che ci circondano, a partire da noi stessi.
Ma può diventare un’arma a doppio taglio, uno strumento di becero opportunismo, laddove alcune verità che fanno comodo, si accolgono. Altre si mettono a tacere in nome di una qualche “zona franca”, non meglio definita da una cattiva interpretazione di quello che è un Dojo e la comunità che ruota intorno ad esso.
A che serve uno strumento potente di scoperta di sé e della propria libertà, se poi non siamo capaci di usarlo per cercare la verità? Per incontrarla?
Chi si allena con la spada, sa che ogni tecnica, ogni movimento, ripetuto, porta ad una maggior chiarezza. La spada taglia, “discrimina”, separa qualcosa da qualcos’altro.
Se diciamo che la pratica attenta serve per fare chiarezza ma non sappiamo definire su che cosa facciamo chiarezza, non sembriamo forse tanti automi che si affannano senza un perché?
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